La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



venerdì 24 giugno 2016

Il fronte occidentale

Un'escursione sui luoghi tragici della prima guerra mondiale. Perché, ora che gli ultimi superstiti della guerra sono scomparsi, il paesaggio è l'ultimo testimone di quegli avvenimenti; permette di trasmetterne le tracce e suscita riflessioni ed emozioni. La presenza fisica su un sito, al di là di scritti e immagini, può in effetti rendere più sensibile l'empatia verso quegli uomini
 Oggi il paesaggio è bucolico, prati e boschi con qualche cascina qua e là. Il luogo è agreste anche se non siamo lontani dalla zona mineraria e sullo sfondo si vedono i “terrils”, le colline artificiali costituite dalle scorie dell'estrazione del carbone.
Ma al di là dei monumenti e dei cimiteri, quei cinque anni di guerra hanno segnato e modificato il paesaggio; quello che vediamo è ancora, almeno in parte, il risultato di quei combattimenti.
Queste terre dell'Artois furono già duemila anni fa occupate dalle truppe romane. Giulio Cesare le colonizzò, modificando sostanzialmente il paesaggio celtico. Il bocage parcellizzato da siepi e alberi fu distrutto per lasciare il posto a larghe distese coltivate a grano, necessario per nutrire la popolazione dell'impero.

Tra il 1914 e il 1918 la linea del fronte passava da qui. Da un lato i tedeschi, dall'altro i francesi e le truppe del Commonwealth, si affrontarono in scontri sanguinosi quanto inutili, avanzando o indietreggiando di pochi chilometri, a volte di qualche metro.
Durante la “grande guerra” l'avanzata delle truppe dell'Impero tedesco sulla via di Parigi era stata bloccata su un fronte che andava da Dunkerque, sul Mare del Nord, alla Svizzera.
Per gli strateghi dei due campi le colline dell'Artois erano diventate un nodo essenziale. In una regione completamente pianeggiante erano qui gli unici rilievi che permettevano il controllo del territorio circostante e in particolare della città di Arras, restata in territorio francese ma minacciata dall'esercito tedesco.
Per le truppe australiane, neozelandesi, canadesi, all'epoca ancora colonie inglesi, fu su queste terre che nacque la loro storia nazionale. I cimiteri militari sono visitati dai discendenti di quegli uomini che avevano fatto migliaia di chilometri per venire a combattere e morire un un paese che spesso non conoscevano e del quale non sapevano nulla.
Partiamo dalla chiesa di Notre Dame de Lorette. Circondata da un cimitero francese, necropoli nazionale con 20000 tombe e un ossario con 22000 militi ignoti; essa si trova su una delle creste tanto contese. È l'unico edificio religioso presente in questi luoghi di memoria; fu costruito nel 1925 sul sito di una precedente chiesetta dedicata a Nostra Signora di Loreto (Notre Dame de Lorette appunto).
Di fronte è l'Anello della Memoria, inaugurato l'11 novembre 2014 in occasione del centenario della guerra.

Si tratta di un grande cerchio, all'interno del quale, su 499 pannelli sono incisi nomi di 579606 caduti sul fronte del Nord-Pas-de-Calais dal 1914 al 1918.
I nomi sono in ordine alfabetico, senza distinzione di grado né di nazionalità. L'anello è in parte sul vuoto e sembra in bilico, per ricordare la precarietà della pace.
I paesini attorno, nella pianura sottostante, furono interamente ricostruiti nel dopoguerra ma si lasciarono intatte le rovine di una chiesa per ricordare le distruzioni subite.

Ai piedi della collina è un edificio costituito da una serie di blocchi di cemento verniciati in nero che ospita il museo della grande guerra.
Attraversiamo la campagna e risaliamo verso la Cresta di Vimy. È un luogo altamente simbolico per i canadesi. Furono le loro truppe a combattere accanitamente per conquistare questo balcone strategico.
Il gigantesco monumento in pietra bianca raffigura tutti i simboli dell'epopea delle truppe canadesi. Vimy è un nome conosciuto in quel paese.
Il monumento è rappresentato sui biglietti da 20 dollari.
Il sito è stato donato dallo Stato francese al Canada e sono quindi i canadesi ad occuparsene e ad accompagnare i visitatori.

Dietro il monumento il terreno porta le tracce dei bombardamenti: una successione di avvallamenti più o meno grandi, secondo la potenza delle esplosioni sono oggi coperti da un'erba brillante.
Le bombe inesplose sono ancora numerose e, per evitare il pericolo che potrebbero incorrere i falciatori, sono le pecore ad essere incaricate del taglio dell'erba.

Ci furono scene di fraternizzazione: les soldats sortaient des tranchées pour ne pas se noyer. Deux armées se faisaient face et s’échangeaient le vin et le tabac.Ma furono rapidamente represse dai comandi dei due campi.
Per ogni caduto è stato piantato un pino silvestre. Il bosco è cresciuto rigoglioso ed impedisce l'erosione del terreno conservando così gli avvallamenti provocati dalle bombe.
Qua e là piccoli cimiteri tutti uguali (nella tradizione anglosassone i caduti sono sepolti il più vicino possibile al luogo della loro morte) con al centro la croce di San Giorgio su cui è incastonata una spada.
È stato ricostruito un tratto delle trincee nelle quali i soldati vivevano, ma esse non ha senz'altro nulla in comune con i cunicoli fangosi e pestilenziali che erano in realtà. Così come appaiono idillici e agresti questi prati che all'epoca furono coperti di cadaveri di uomini e animali.
Ma dalla terra e dall’aria fluiscono pure in noi forze di difesa; soprattutto dalla terra. A nessuno la terra è amica quanto al fante. Quando egli vi si aggrappa, lungamente, violentemente; quando col volto e con le membra in lei si affonda nell’angoscia mortale del fuoco, allora essa è il suo unico amico, gli è fratello, gli è madre; nel silenzio di lei egli soffoca il suo terrore e i suoi gridi, nel suo rifugio protettore essa lo accoglie, poi lo lascia andare, perché viva e corra per altri dieci secondi, e poi lo abbraccia di nuovo, e spesso per sempre.

Terra, terra, terra. Terra, con le tue pieghe, con le tue buche, coi tuoi avvallamenti in cui ci si può gettare, sprofondare. Terra, nello spasimo dell’orrore, tra gli spettri dell’annientamento, nell’urlo mortale delle esplosioni, tu ci hai dato l’enorme risucchio della vita riconquistata! La corrente della vita, quasi distrutta, rifluì per te nelle nostre mani, così che salvati in te ci seppellimmo, e nella muta ansia del momento superato mordemmo in te la nostra gioia!
Di colpo, al primo tuonare di una granata, torniamo con una parte di noi stessi indietro di migliaia d’anni. È un intuito puramente animale quello che in noi si ridesta, che ci guida e ci protegge.
Incosciente, ma assai più rapido, più sicuro, più infallibile che non la coscienza. Non si può spiegare; si va senza pensare a nulla, ed ecco che ad un tratto ci si trova in un avvallamento del terreno, mentre sopra noi volano schegge di granata, ma non ci si ricorda di aver sentito venire il colpo né di aver pensato a coricarci.

Se ci si fosse lasciati guidare dal ragionamento, si sarebbe a quest’ora un carname sparpagliato: è stato l’altro che oscuramente vigile in noi ci ha buttati a terra e salvati, senza che noi si sappia come. Se questo altro non fosse, da un pezzo, fra le Fiandre ed i Vosgi, non vi sarebbero più creature viventi.
Noi partiamo soldati allegri o brontoloni; quando giungiamo alla zona del fuoco siamo divenuti una razza belluina.
E il silenzio fa sì che le immagini del passato non suscitino desideri ma tristezza, una enorme sconsolata malinconia. Quelle cose care furono, ma non torneranno mai più. Sono passate, sono un mondo diverso, perduto per sempre.
  Erich Maria Remarque: NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE

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