La luna e i falo'

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti
Cesare Pavese 1949



lunedì 29 agosto 2016

L'Aquila

Impossibile scrivere qualcosa sul terremoto senza rischiare l'indecenza. Grazie ai social network (o piuttosto si dovrebbe dire “a causa”), fiumi di commenti di chi sapeva tutto, di chi sa chi è il colpevole, di chi sa quando sarà il prossimo... si sovrappongono e si moltiplicano mentre gli abitanti colpiti sono forse gli unici ad essere ancora senza parole.
La notte del 24 agosto eravamo a una cinquantina di chilometri in linea d'aria dall'epicentro del sisma. Siamo stati svegliati dalla prima scossa, la più forte. Il tempo di capire che cosa fosse e di alzarci il primo terremoto era finito. Dopo qualche minuto di silenzio abbiamo sentito porte che si aprivano e le voci dei vicini usciti in strada. Qualcuno telefonava per avere informazioni. A L'Aquila la scossa era stata molto forte, l'epicentro era più a nord, verso l'Umbria. Abbiamo acceso la radio, c'era ancora un programma musicale, poi sono arrivate le prime notizie, via via più precise. A poco a poco, mentre altre scosse meno forti facevano ancora tremare i mobili, si è cominciato a parlare di danni e feriti dalle parti di Amatrice.
Per noi solo un po' di paura, forse più forte per chi aveva vissuto il terremoto del 2009. Per altri conseguenze ben più gravi e tristi.
Ci siamo resi conto di quanto sia difficile in questi casi avere una reazione logica e razionale in situazioni del genere.
Eravamo stati a L'Aquila proprio qualche giorno prima. Volevamo vedere a che punto era la ricostruzione della città in quello che è stato definito “il più grande cantiere d'Europa”. Da lontano grappoli di gru che si levano verso il cielo. Entrando nel centro storico si è accolti dal rumore dei martelli pneumatici. Sul corso principale e sulla piazza del Duomo la maggior parte degli edifici e in cantiere. Qualche commercio ha riaperto ma le persone che si incontrano sono soprattutto turisti o operai dei cantieri; gli abitanti sono rari. Le impalcature metalliche sono dappertutto; chilometri di tubi sostengono case e palazzi mentre qua e là le piante crescono tra i detriti. Anche la fontana luminosa, uno dei simboli della città è scomparsa dietro un'impalcatura così come un lato del forte spagnolo. Molto è stato fatto ma l'opera appare immensa. Basta allontanarsi dal corso centrale per rendersene conto. Alcuni quartieri sono ancora abbandonati, gli unici visitatori sembrano essere stati i ladri che hanno divelto le porte senza dimenticare di rubare i pomelli in ottone. La basilica di San Bernardino è stata restaurata e ora appare con la sua facciata splendente tra palazzi ancora puntellati. L'altra basilica, quella di Collemaggio è circondata da una palizzata ed è ancora inaccessibile.